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Omelia dell’Arcivescovo Mons. Paolo Rabitti.

V Domenica di Pasqua
Celebrazione Eucaristica

per i “Genitori in Cammino”

14 Maggio 2006 – Cattedrale

 

 

Ancora una volta questa Cattedrale vi vede riuniti; Dio solo sa quello che avete nel cuore.

E questa Cattedrale, che nei secoli passati e anche nel secolo scorso, si riempiva di genitori che avevano perso i figli in guerra, ora si affolla a motivo di un’altra grande tragedia che si chiama “la strada”. La strada divenuta tomba per tanti nuovi “caduti”.
Ma, in questo mare di dolore, la liturgia della Chiesa non ha paura di rivolgere al vostro orecchio parole di gioia, parole di speranza e, se non avessimo il timore di avere poca fede, parole di certezza assoluta.
Sarebbe troppo grave, anzi, sarebbe un insulto macabro, far giungere parole di gioia a chi sperimenta l’amarezza della morte dei propri cari; oppure rivolgere parole effimere per lenire il dolore di chi, evidentemente, sperimenta il dramma di un distacco tragico.
Bisogna che una volta ancora, ci interroghiamo sul fondamento della speranza cristiana.

La Chiesa non pronuncia parole “sue”; annuncia “un fatto”: la risurrezione; e da quel fatto deduce le parole della Persona che ha vissuto quel fatto stesso. Gesù aveva ben presente tutto questo, quando, fissando il volto titubante dei Dodici, nell’imminenza della Passione, ha detto: “vado, vi preparo un posto e quando l’avrò preparato tornerò, vi prenderò con me” (Cfr. Gv 14,1-2). Probabilmente la reazione degli apostoli è stata di dubbio, o peggio ancora, di incredulità.
Gesù, invece, al dubbio dei Dodici, ha contrapposto parole chiarissime: “se non fosse così non ve lo avrei detto, ma se ve lo dico vuol dire che è vero. Allora vi preparo un posto, vado e torno a voi e dove sarò io sarà anche il mio discepolo” (Cfr. Gv 14,1-2).

Pertanto partendo dalla seconda lettura, or ora proclamata, (tratta dal cap. 4 della 2 Cor) mi piacerebbe riflettere con voi, care  mamme, cari papà, sul fondamento della speranza Cristiana.
L’apostolo Paolo ci ricordava: “fratelli - e io aggiungo padre e madre che ascolti – siamo convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi; con Gesù. E ci porrà accanto a Lui, insieme con Lui”.
E  in un’altra lettera ai cristiani di Corinto l’Apostolo aggiunge: “se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede e noi saremmo i più disgraziati degli uomini, illusi e delusi” (Cfr. 1 Cor 15).
Gesù ci dà la certezza, perché ha detto prima di morire: “distruggete questo corpo ma io lo riedificherò in tre giorni” (Cfr. Gv 2,19). Ed ha aggiunto: “nessuno ha il potere di togliermi la vita, sono io che la do, ma ho il potere di riprenderla” (Cfr. Gv 10,17-18). E Gesù non si è limitato ad una parola, ma ha confermato la parola con il fatto stupendo della risurrezione: la Chiesa lo annuncia festante da duemila anni: “Gesù Cristo è risorto!”.

E per preparare i suoi ha affermato: “io sono la vita, chi crede in me non morirà in eterno, chiunque vive e crede in me non gusterà la morte in eterno” (Cfr. Gv 14,6; Gv 11,26).
L’Apostolo nella lettura che abbiamo ascoltato, aggiunge: “tutto è per voi, perché la grazia ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, (cioè quando l’esplosione della Resurrezione sarà per tutti) venga moltiplicato l’inno di lode alla gloria di Dio” (2 Cor 4,15). Se parlassi in greco direi: “venga data l’Eucaristia  alla doxa di Dio”; ovvero: venga dal mondo un grande ringraziamento (quando tutto sarà chiaro e tutto sarà visibile) per la infinita gloria che si irradia da Dio.
Papà e mamme che ascoltate! udite ancora queste parole: “non ci scoraggiamo; anche se il nostro corpo (cioè la nostra persona e anche quella del vostro caro), si va disfacendo, il momentaneo leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria” (2 Cor 4,17).
Facciamo fatica a comprendere che il “momentaneo peso” del distacco dai nostri cari sia leggero: ma se l’Apostolo l’afferma, è segno che tanta è la gloria che ci attende, che in proporzione l’attuale peso è leggero.
Le cose che noi fissiamo sulla terra sono visibili e non comprendiamo il valore di quelle invisibili che Paolo definisce eterne. Il dolore è destinato a lasciare il posto ad una gioia senza fine.
Riceveremo un’abitazione eterna fatta da Dio; non costruita da mani d’uomo; ci attende una casa;  ci attende la famiglia eterna che vive presso Dio.
Non mi azzarderei a dire queste parole se non sapessi che vengono da Dio e dagli Apostoli del suo Figlio. E la Chiesa le ripete, non perché voglia lenire il vostro dolore col palliativo di una effimera consolazione: NO; “questa è la nostra fede, questa è la fede della chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Gesù Cristo nostro Signore”.

E voi, nel mare di dolore a cui accennavo, avete sperimentato la consolante presenza di Dio attraverso l’attenzione premurosa di un sacerdote, del seminario o di un amico o di una famiglia compartecipe del vostro stesso dolore, che vi hanno detto, in un momento della vita: “vieni; cammina; trasfigura il tuo dolore; guarda pure la fotografia del tuo caro; ma pensalo nell’eternità, raccomandalo a Dio”; “Dio è un padre che non può non commuoversi, come ha fatto Gesù spettatore del travaglio della vedova di Nain”.

E chiamiamo appunto “Pietà” la rappresentazione più incisiva che la fede cristiana ha illustrato nel marmo, nei quadri: cioè la madre di Gesù, Maria, che tiene in braccio il suo figlio innocente. Ma quel figlio innocente, morto e esanime sul suo ginocchio, è ora il Risorto.

Non è pertanto una parola effimera quella che vi è stata rivolta, ma l’aiuto che Qualcuno vi sta dando, affinché possiate guardare in alto, guardare al momento eterno della dimora presso Dio, sopportando il momentaneo, leggero – perché portato, insieme a voi, da Gesù – peso della vita.

Ecco che questa prospettiva arricchisce ed illumina le altre letture di questa liturgia eucaristica: Dio conosce il vostro cuore e forse vi chiama a collaborare all’opera di conversione del mondo anche attraverso lo schianto del vostro dolore. C’è ancora tanto male nel mondo! Le cronache lo amplificano lasciandoci continuamente sgomenti.

E il Vangelo che abbiamo ascoltato ci dice parole straordinarie: “io sono la vite e voi i tralci, chi rimane unito alla vite riceve la linfa, allora produce il frutto” (Cfr. Gv 15,5), perché la linfa dell’albero percorre il ramo, il tralcio e arriva al frutto. Gesù pertanto ci invita: “rimanete in me e io in voi, se rimarrete in me porterete molto frutto” (Cfr. Gv 15,7.16).

Chi avrebbe detto che a Ferrara, e in altre parti d’Italia, sventure così grandi, Dio le avrebbe cambiate in vita cristiana nuova, in riunione di famiglie o addirittura in un seminario capace di raggiungere numerose famiglie della diocesi? “Dio è più grande del nostro cuore”.

Coraggio, papà e mamme, avete consegnato il vostro figlio fra le braccia del Padre. Dio vi guarda; il vostro figlio vive in Lui; vi guarda; voi lo pensate e lo affidate a Dio; fra di voi vi incoraggiate; avete ripreso una vita cristiana più intensa; il Seminario vi ospita con un amore ineffabile; avete acquisito nuovi figli in questi giovani Seminaristi che sono davanti a voi, oggi; so che fate tanto per loro, e loro cercano di corrispondere. È tutto questo è meraviglioso. Ecco perché l’Apostolo definisce “momentaneo” il peso del vostro dolore: esso si apre alla speranza. “Saremo sempre col Signore” (…): là gioiremo e potremo fare festa senza fine: cioè l’Eucaristia della gloria di Dio.

Vi faccio coraggio, perché questo è il coraggio di Dio. Davanti a voi brilla il cero pasquale: a voi sono state pronunciate parole di fede, in mezzo a voi c’è chi vi infonde speranza; chi di voi ha trasfigurato “nel tempo del cammino” questo dolore, può fare la cordata con gli altri. Così sia.

 


Genitori in cammino - ultimo aggiornamento:  martedì 21 luglio 2015