Genitori
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Omelia dell’Arcivescovo Mons. Paolo Rabitti.
VI
Domenica di Pasqua
Vi saluto, carissimi; e mi accosto a voi con quella reverenza che subentra nell'animo quando si riflette al dolore che è entrato nella vostra casa, al mistero pasquale che scorre nelle vostre vene, e cioè alla trasformazione che vi sta rendendo, come i due discepoli di Emmaus, da sconfortati ad annunciatori di speranza; da costernati, senza risposta, a viandanti con il cuore ardente. * * * Oggi è scesa su di noi una stupenda parola di Gesù che vi riguarda sommamente:
“Vi lascio la pace, vi do
la mia pace. L’occasione nella quale Gesù pronunciò tali parole era tragicamente drammatica. Era l’addio di Gesù. Era l’ora delle tenebre. Era il giorno del turbamento. Gesù addirittura disse in quell’ora: “andiamo via da qui” (14,30). Come dunque è possibile in tale situazione parlare e promettere: pace, serenità, coraggio? Come dunque è possibile lasciare solo l'uomo e contemporaneamente dirgli: “tornerò a te?”. * * * Gesù ha portato i suoi discepoli in un altro mondo; lo ha detto a Pietro: “dove vado io per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (13,36). E Gesù ha parlato un'altra lingua: “Voi piangerete e vi rattristerete; ma la vostra afflizione si trasformerà in gioia” (16,20); “voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia” (16,33). So che molti di voi sperimentano già tale “altro mondo” e tale “altra lingua”; cioè testimoniano che nell’animo è subentrata la pace, non quella effimera del mondo, ma quella del consolatore interiore che vi ha svelato o vi sta svelando la verità e le cose future (16,13). L’umanità di oggi si è sottratta, in tanta parte, al “mondo” di Gesù e alla “lingua” di Gesù. E la Chiesa – che deve parlare di Dio al mondo con la lingua di Dio – sperimenta, di nuovo, ciò che S. Pietro descriveva con quelle famose parole: “siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po' afflitti da varie prove” (1Pt 1,6) siate “stranieri e pellegrini in mezzo ai pagani” (1Pt 2,11). Come fare e cosa dire a questa umanità sottrattasi al cono di luce del Vangelo o addirittura atteggiata a “nemica della croce di Cristo”? (Fil 3,18). Io credo che voi abbiate molto da dire e da dare. 1) Voi avete, in occasione del vostro lutto, intensificato la vostra unione di anime. L’indissolubilità del vostro legame è stata la vostra forza = uniti avete affrontato il dolore; il dolore ha cementato la vostra unione. La diffusa mentalità odierna ridicolizza l’indissolubilità perché: - la giudica dal piacere: “perché stare insieme, quando non c’è attrazione?”; - o la valuta dalla convenienza: “perché convivere, quando si diventa di peso?”; - o la concepisce come barriera al proprio Io: “perché donarsi invece che prendersi?”. La vostra esperienza documenta invece come “non v’è che l’amore indistruttibile e intramontabile che sa fare di due esseri un essere solo” (S. Giovanni Crisostomo, PG. 61,280). Sembra perfino drammatico e insostenibile il dolore per un figlio scomparso non condiviso insieme, da coloro che lo hanno generato. 2) Voi avete acquisito un senso della vita, quale forse nemmeno avete sperimentato alla nascita di Chi vi ha lasciato con la morte. Penso che solo una madre e un padre che hanno avuto dinanzi un figlio esanime, sappiano il valore della vita e il mistero dell’uomo. Eppure, come sappiamo – nonostante la Parola di Dio abbia proclamato assurdo che una madre “si dimentichi del suo bambino, così da non avere pietà del figlio delle sue viscere?” (Is 49,15) – sembra davvero che il nostro Occidente sia un “altro mondo”, perché della vita nascente – e si comincia già a teorizzare la manomissione della vita “morente” – non si ha più pietà, (cioè rispetto, cioè intangibilità, del “frutto delle viscere”), su cui solo Dio ha il potere (Sap 16,13). 3) Voi avete sperimentato quale straordinaria meraviglia sia la famiglia. Davvero – se essa è autentica – è una “piccola Chiesa”, (“Ecclesia micra”, la chiama S. Giovanni Crisostomo PG. 62,143). La famiglia: che ha il sapore di qualcosa di divino; che “né il peccato originale né il diluvio hanno potuto guastare”. Non è solo accoppiamento, la famiglia; non è un provvisorio contratto che impone doveri-diritti. Non è una sorta di asilo d’infanzia utile nei primi anni della comunità creatasi. E’ invece la proiezione in terra della Trinità. Da Adamo, essa è la proiezione terrestre della Trinità: l’unità della molteplicità. Lo spazio unico dove ciascuno è tutto e dove tutto è in ciascuno. Voi ora sperimentate cosa significa un posto vuoto nella casa; ma con il tempo, la pace di Cristo e la speranza della fede vi fanno anticipare la gioia della ricomposizione e la sicurezza della presenza fra voi del vostro caro. Qualcuno di voi mi ha detto che non saprebbe nemmeno immaginare la sua famiglia non completa in terra o in cielo. Eppure anche su questo punto, quanta differenza tra la lingua di Gesù e quella dell’uomo odierno: - si pensa di dare vita alla famiglia come se fosse l’uomo solamente e non l’uomo con Dio a costruire la casa; - si crede di rendere intercambiabile la famiglia e le convivenze; - si crede di piegare i diritti (che sono il rovescio della medaglia dei doveri familiari), senza però assumere questi ultimi. Ma tutti stiamo vedendo i guasti che ne derivano, proprio alla famiglia. Le separazioni a valanga; il disorientamento dei figli; la delittuosità in agguato; la società disgregata; e… una grande tristezza spesso proporzionale alla sguaiatezza.
Siate voi “Genitori in
Cammino” gli apostoli della pace di Cristo e, prima che sia troppo tardi, siate
gli evidenziatori della pace apparente, effimera, che nasce da altre visioni
della vita, dell’amore, della famiglia, della morte. |
Genitori in cammino - ultimo aggiornamento: martedì 21 luglio 2015 |